Di Daniela Giuffrida
Triskelion è quello che i “tedeschi” della mia agenzia di stampa definiscono un “news-blog”, ovvero un contenitore in cui vengono raccolti fatti e notizie più o meno di cronaca, più o meno politici – più o meno tante altre cose – ma sempre INDIPENDENTE nel suo argomentare.
Per questo, a volte, qui diamo spazio anche a riflessioni personali. Vorrei anche precisare che quella prima persona plurale che spesso uso non è un “pluralia maiestatis”: uso il plurale perché Triskelion si avvale della collaborazione di diversi autori con i quali spesso amo confrontarmi e a volte anche discutere.
Ed è proprio nell’ottica di una vera “indipendenza” che stamane ho deciso di fare un’ eccezione e di “usare” Triskelion per consegnare ad una persona speciale – nonché nostro autore – un augurio “speciale” per il suo compleanno.
Non serve dire chi sia Beppe Miceli: ciò che scrive, il suo stesso pensiero, la sua sensibilità, parlano per lui e fanno di lui una persona preziosa e unica.
Non ci siamo mai incontrati Beppe ed io e forse non ci incontreremo mai ma non importa: sono “affinità elettive” – così le avrebbe definite Goethe – quelle che mi portano a condividere la sua stessa, identica, visione della vita e del tempo che scorre. Per questo e tanto altro ancora, voglio augurargli tutto il bene e la serenità che merita, fuori da frasi fatte o da auguri convenzionali.
Buon compleanno amico mio, “zingaro errante in questo mondo governato da limiti e confini che tentano di inscatolarti in una dimensione tempo-spazio per poi sigillarti come un pacco con carta e spago e riporti in uno scaffale anch’esso numerato.”
Grazie per ciò che anche oggi hai voluto regalarci. Un grande abbraccio.
ESATTAMENTE 70 ANNI FA
di Beppe Miceli
Finalmente mi sono arreso ad un’incombenza che da tempo bussava al mio spirito: riordinare tutto del mio trascorso, disperso in grandissima confusione nelle stanze di una casa divenuta troppo grande solo per me. Lettere, foto, documenti, libri, collezioni, dischi, videocassette, CD, vestiti: tutta una vita che verrebbe gettata come paccottiglia nel cassonetto se non avesse un minimo d’ordine sensato, il giorno in cui dovessi “andarmene”. E me ne dispiacerebbe perché andarsene senza lasciare traccia del proprio passaggio, della propria famiglia, degli antenati, sarebbe un’azione vigliacca. Una famiglia la mia che, non appena formatasi, si è trasferita da Palermo in Umbria dove, in un’Italia del dopoguerra tutta da ricostruire, i miei genitori ottennero la cattedra per l’insegnamento e dove venni messo al mondo, esattamente 70 anni fa. Il 28 luglio 1950. Esiste quindi tutto un tracciato di corrispondenza e di fotografie fra i nonni di Palermo e i miei genitori in Umbria: un’argentea striscia di lumaca che descrive nel minimo dettaglio lo storico della nostra famiglia tenuta separata da più di mille km di distanza. E questo raccontarsi la vita, giorno dopo giorno, rappresenta il tesoro cui sono più attaccato e che desidero non disperdere. Già…perché cominciare a volgersi alle spalle per guardare i passi percorsi nel corso della propria esistenza sta a significare una sola cosa: ti stai innamorando della tua nuova condizione di “non più giovane”. Un benevolo neologismo tanto usato di questi tempi per lisciare le rughe del volto con la crema dell’illusione e della tenera menzogna.
Ma perché non dirlo con franchezza, senza falsi pudori, che la tua vita si sta avvitando su se stessa, tentando di rincorrere in un pazzo girotondo di cane che si morde la coda quei tantissimi passi percorsi nel tuo lungo cammino di nomade calcato con scarpe di varia taglia e foggia? Un cammino segnato dal ritmo di andature prima spensierate, saltellanti e gioiose in rimpiattini e moscacieche. Poi impazzite, ebbre di forza incontrollata e di smanie insensate di bravura. Poi spavalde, affondate con coraggio nel fango di viscide paludi. Poi guardinghe, in punta di piedi e passi corti. Poi frenate ed arrestate dallo stupore dell’armonia e dall’equilibrio delle forme di ciò che ti era scorso accanto senza che tu vi avessi posto la meritata attenzione. E’ questo ciò che mi sta accadendo: sto cominciando ad innamorarmi dell’essere “non più giovane”.
C’è qualcosa o forse qualcuno che mi sta camminando accanto in questa serena passeggiata fra il verde della riflessione e l’arancio della curiosità. Sento le nocche delle sue dita sfiorarmi il dorso della mano quasi a chiedermi di concederle un contatto più concreto: una stretta amichevole… forse un abbraccio di benevolenza. Forse un bacio di passione. Alcuni la chiamano vecchiaia con raggelante disprezzo e la travestono, nascondendola in ogni modo. Per me è una dolce amante che desidera sciogliere i capelli sul mio petto, abbandonata sull’erba morbida dell’attesa.
Qualche anno fa mi scrissero: “Che cosa buffa il rapporto che ha l’umano con il tempo!! sembra che voglia quasi controllarlo e arginarlo …lo incasella in numeri e nomi per poterlo dominare. Ma si fa beffa di noi il tempo e ci rincorre o ci sfugge. Raramente ci si imprime addosso con date… Ne ricordiamo gli eventi e in fondo poco importa che giorno era…ma come ci siamo sentiti in quell’istante che …come per incanto pare quasi astrarsi dai nostri confini mentali !!! Ti auguro istanti di grande magia…ti auguro istanti di meravigliosa emozione…ti auguro un Tempo che sia bello ricordare…senza numeri…senza mesi…senza anni…un Tempo che profumi di assoluta libertà!!! ” * * * * * * * * * * * Sì, in realtà è proprio così. Riordinare il proprio trascorso è forse un voler affacciarsi al suicidio. Tentare di non incasellare il tempo è l’unica arma di cui disponiamo per proteggerci dal suo scorrere. Già… perché ogni nostra mossa è pensata per programmare i ritmi del tempo, studiarne le cadenze, determinarne le sue forme, le diversità, le caratteristiche e potercene in qualche modo appropriare per renderlo nostro schiavo. Esattamente la stessa cosa che fa l’entomologo o il botanico nello studiare l’oggetto dei suoi interessi, cercandone un nuovo peluzzo, un rilievo, una sfumatura di colore per individuare una nuova specie, per attribuirgli un “nome e cognome” per appropriarsene con una paternità idiota, con dei natali demenziali, con un battesimo infido sottraendolo all’armonia del Tutto creata da Madre Natura con l’ingenuità della purezza assoluta, senza nomi nè numeri apparenti.
Una lettera che ho gradito particolarmente in quanto mi ritengo uno zingaro errante in questo mondo governato da limiti e confini che tentano di inscatolarti in una dimensione tempo-spazio per poi sigillarti come un pacco con carta e spago e riporti in uno scaffale anch’esso numerato. E’ con queste riflessioni del mio settimo giro di boa che auguro a tutti gli amici di aprirsi alla luce che anima il mondo e che ci offre l’opportunità di aggregarci come cellule infinitesimali alla composizione del Tutto, armonioso insieme.
Un augurio che estendo anche a tutti gli amici perduti per vari motivi lungo il percorso di crescita interiore che mai dovrà interrompersi. Un augurio che può significare volontà di attendere chi fosse rimasto indietro perché impantanato nel vischio dell’orgoglio o di raggiungerlo, caso mai fosse occorso a noi. Un augurio per trovare il coraggio di rimettersi in discussione, di cercare il confronto, di guardarsi allo specchio per scoprire le rughe che non vogliamo vedere. Un augurio per trovare la forza di spaccare e abbandonare la vecchia crisalide per compiere la muta che ci faccia attuare un nuovo ed importante passo esistenziale. Il Volo verso la Luce. Vi giunga il mio abbraccio reale anche se tempo e spazio desiderano ingannare questo mio sentire beppe miceli firenze 28 luglio 2020