Di Beppe Miceli
Mi avrete sentito parlare di "soldati allo sbando" in più occasioni se avete avuto il tempo di leggermi con una certa assiduità. Perché ogni tanto ne parlo?
Perché è un aspetto comune del carattere umano che paragono al radunarsi all’interno del nostro spirito di queste figure non ben definite che vi penetrano poco alla volta, ammassandosi in gruppi sempre più consistenti.
Un soldato allo sbando rappresenta il massimo del disordine emotivo.
Un soldato allo sbando non ha più una meta, un comandante, né dignità, né un Dio in cui credere.
Un soldato allo sbando è davvero difficile sputarlo fuori dal proprio corpo. Molto difficile.
Un soldato allo sbando è capace di qualsiasi azione pur di sopravvivere, pur di avere un tozzo di pane.
Quando ti entra nell'anima è terribile potergli resistere. Si impossessa della tua parola e del tuo pensiero, oltre che del tuo respiro affannato e del tuo cuore che scoppia.
E' questo ciò che ti accade quanto senti la rabbia crescerti in corpo e qualcosa di maledettamente resistente ti impedisce di contenerla. Ma non è facile poterlo spiegare.
E’ più facile riuscire a parlare della propria intimità, dei propri peli del petto, delle proprie natiche bianche di luna in un corpo fortemente abbronzato, dei propri attributi nel momento dell’eccitazione.
E' davvero difficoltoso presentare il respiro dei propri sentimenti più profondi.
Sì, certo. Sicuramente ci vergogniamo di più a parlare della nostra interiorità piuttosto che rimuovere il pudore alle vergogne della carne. E' difficile davvero condividere con gli altri certi intimi momenti. Anzi direi che è quasi impossibile poterlo fare senza la preoccupazione di suscitare le reazioni più varie, colpendo talvolta la sensibilità di qualcuno in maniera invasiva.
Ognuno di loro legge la nostra storia rispecchiarsi nelle proprie esperienze mentre gliele stai raccontando. E tu speri di leggere negli altri compartecipazione: la tua stessa espressione del viso, il tuo stesso sguardo, la tua stessa smorfia di dolore. C’è una sorta di transfert che tu speri di produrre. Un'emozione che passa loro accanto, gira attorno, studia, cerca un passaggio, un ingresso per penetrare nella loro coscienza e confrontarsi con essa alla ricerca di empatia.
Spesso però viene eretta una barriera da parte di chi ascolta che lascia accesso ad una condivisione solo epidermica. Dentro di sé costui sorride e pensa piuttosto cinicamente: "è toccato a lui, per fortuna".
Ma....quelle minuscole increspature ai lati della bocca, quelle pieguzze intorno agli occhi che testimoniano soddisfazione per uno scampato pericolo toccato ad altri, non sfuggono al SOLDATO ALLO SBANDO, osservatore attento dell’anima.
Ecco perché parlare delle vicende negative collegate ad aspetti poco luminosi del proprio carattere non è sempre piacevole in quanto le tue peripezie non vengono accolte e compartecipate ma accettate quasi come una gratificazione dal ricevente che se ne è trovato ben al di fuori.
Oltre a questa evidente consapevolezza di poca empatia da parte degli altri, c’è in fondo al nostro cuore anche la preoccupazione remota che offrire una notizia spiacevole possa comunque generare nelle persone più sensibili dolore e sofferenza: quindi, nel rispetto della tranquillità e del buonumore altrui, in genere evitiamo di trasferire gratuitamente e in modo totale tutte quelle forti emozioni collegate alle vicende negative che hanno segnato la nostra vita. E ce le teniamo dentro, con vergogna.
Un blog può essere un luogo di meditazione, di riflessione, di preghiera. Ma è soprattutto un luogo di condivisione dove entusiasmi ed angosce vengono portati alla luce ed offerti in pasto al lettore che è lì a leggerti per semplice curiosità o consolidata amicizia.
Comunque sia, indipendentemente da chi raccoglierà il messaggio in bottiglia affidato alle onde, vi parlerò più chiaramente dei soldati allo sbando, quelli che spesso si impadroniscono alla spicciolata del nostro corpo, della nostra mente.
... Li senti entrare a passo veloce i soldati allo sbando attratti da quel vuoto di controllo che li fa sentire spavaldi e guerrieri, loro che fino a pochi attimi prima erano dei fedeli servitori del tuo onore, trasformatisi d'un tratto in disertori, gettando uniforme e bandiera alle ortiche.
Entrano e si fanno strada su sentimenti rimasti senza più difese. Sentimenti nascosti sotto il letto delle proprie abitazioni, nella stalla insieme alle mucche, nel fienile.
Entrano i soldati. attratti dal fuoco che divampa, dalle grida dei superstiti, dalle bestie impazzite per le fiamme, dalle donne che fuggono, dai bimbi che piangono disperati aggrappati alle vesti delle loro mamme, dai vecchi che immobili attendono il loro destino ormai giunto alla porta.
Entrano e sgozzano, sventrano, stuprano, rubano gli animali, rincorrono i maiali e le galline, legano i cavalli per razziarli, gettano i cadaveri nel pozzo, devastano i luoghi sacri spezzando croci e decapitando statue.
Entrano e infilano nelle picche le teste decapitate e irsute di barba con lunghi capelli intrisi di sangue che oscurano la fronte e lo sguardo allibito di occhi ancora sbarrati al terrore.
Cerchi allora di organizzare un minimo di difesa ma ormai è tutto alle fiamme. La devastazione dilaga. L’orrore ha ricoperto di sangue tutto lo scenario.
Quei pochi soldati rimasti di vedetta sono dispersi nella boscaglia.
Cala la notte. Il villaggio è distrutto. I fuochi stanno ormai affacciandosi a singhiozzo dalle braci quasi consunte e non riescono più a bruciare con virulenza.
Un cane guaisce sul cadavere del soldato che faceva la guardia al ponte levatoio. Alcuni superstiti sfuggiti alla scanna rientrano dalla boscaglia a soccorrere i feriti.
Altri stanno già recuperando le poche suppellettili rimaste, riconducendo nel recinto alcuni cavalli scampati alla razzia.
Delle pie donne sono in ginocchio davanti alla chiesetta tentando di rimettere insieme quel che rimane degli arredi sacri violati da quell’infame bestemmia.
I soldati allo sbando sono andati via ma stazionano nelle campagne circostanti in bivacchi allestiti in tutta furia, ebbri di vittoria e di sangue.
I loro canti inneggiano al dio del male ed alla signora della morte che ha eseguito a dovere il suo compito di falciatrice di teste.
E’ il nuovo giorno.
Dormono russando intorno al fuoco i soldati allo sbando.
Ma noi del villaggio li lasciamo stare.
Li lasciamo sopravvivere.
Fanno parte anche loro di quella landa dispersa dove periodicamente tornano a devastare e colpire passando di villaggio in villaggio.
Sappiamo che non ce la faremo mai a sconfiggerli definitivamente.
Dormono, e verranno risparmiati anche stavolta nel sonno per una stupida, insensata pietà, che renderà sterili i nostri campi e priva di giusta discendenza quella nostra sacra genìa...
Dal Blog omonimo di Beppe Miceli, su "Splinder" (che purtroppo non esiste più!)